Massimo Sandal, PhD   |   Pubblicato il 01/01/2025

Tra i rischi per la salute legati alle polveri sottili e agli ossidi d’azoto, inquinanti atmosferici assai comuni, potrebbe esserci anche la trombosi venosa. A suggerirlo, su Blood, è uno studio prospettico di coorte su oltre 6.600 partecipanti in varie regioni degli Stati Uniti, seguiti per 17 anni assieme a un monitoraggio dettagliato di diversi inquinanti atmosferici.

Diversi studi, in Italia e all’estero, avevano già fornito indizi di come l’inquinamento atmosferico potrebbe essere collegato allo sviluppo di coagulopatie, in quanto può favorire la formazione di trombi e l’infiammazione, e sembra avere effetti negativi su fibrinolisi ed endotelio. Per esempio, marcatori come il D-dimero, fibrinogeno ed E-selectina tendono ad aumentare con l’esposizione a polveri sottili e ossidi d’azoto, mentre il tempo di protrombina a diminuire. Gli studi sull’associazione diretta tra tromboembolismo venoso (TEV) e inquinamento sono però ancora discordi.

Lo studio americano

Pamela L. Lutsey dell’Università del Minnesota e colleghi hanno preso in esame i partecipanti al Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA), uno studio prospettico di coorte che, tra 2000 e 2002, ha reclutato 6.814 partecipanti appartenenti a diversi gruppi etnici in diverse località degli Stati Uniti. All’epoca del reclutamento i partecipanti non avevano diagnosi di malattie cardiovascolari né altre condizioni gravi di salute. 6.651 sono stati inclusi nello studio qui discusso; gli esclusi, invece, non presentavano covariate fondamentali e/o il loro status relativo a TEV, non avevano dati sull’inquinamento atmosferico, oppure stavano assumendo anticoagulanti. L’età media dei partecipanti è di 62,1 anni e il 53% erano femmine.

Ogni 9-12 mesi i partecipanti sono stati contattati per documentare ricoveri ospedalieri o decessi, e i ricoveri per TEV sono stati registrati a seconda dei codici diagnostici ospedalieri. Le covariate (livello d’istruzione, situazione economica, status di fumatore o di esposizione a fumo passivo, attività fisica etc.) così come i biomarcatori di infiammazione e coagulazione (D-dimero, fibrinogeno, CRP, IL-6, fattore VIII) sono stati tutti registrati al reclutamento. L’inquinamento atmosferico è stato valutato per PM2,5, PM10, NOx, NO2 e ozono con un modello a grana fine che, sfruttando diversi tipi di misure sul campo e di predittori geografici, ha permesso di stimare l’esposizione ogni 14 giorni tra 1999 e 2018, al fine di valutare l’esposizione complessiva.

In una media di 16,7 anni di follow-up, la popolazione studiata ha riportato 248 eventi ospedalieri dovuti a TEV. Anche dopo aver controllato per numerosi fattori confondenti, dal fumo al livello di istruzione ai biomarcatori, tutti gli inquinanti presi in considerazione, eccetto l’ozono, sono associati a un aumento significativo del rischio di eventi ospedalieri per TEV. Il rischio è 1,39 (1,04-1,86) volte più elevato per un aumento di 3,6 µg/m3 di PM2,5, 2,74 (1,57-4,77) volte più elevato per un aumento di 13,3 parti per miliardo di NO2 e 2,21 (1,42-3,44) volte più elevato per un aumento di 30 parti per miliardo di NOx. Per l’ozono invece il rischio è 0,78 (0,52-1,15) volte più elevato, compatibile con un risultato nullo.

L’associazione è robusta di fronte a numerosi test di sensibilità, quali per esempio restringendo il campo solo ai primi 10 anni di follow-up, escludendo i fumatori e le persone esposte a fumo passivo. Non sembrano esserci evidenze di effetti moltiplicatori legati a età, razza o fumo.

Le conseguenze dell’inquinamento atmosferico

Lo studio aggiunge ulteriori indizi di come l’inquinamento atmosferico sia un fattore di rischio non trascurabile per la salute cardiovascolare. “Sebbene l’entità dell’effetto sia modesta, le aree con esposizione cronica all’inquinamento atmosferico ambientale potrebbero avere tassi di TEV leggermente più elevati rispetto alle aree con minore esposizione. È importante sottolineare che l’inquinamento atmosferico è onnipresente, quindi anche associazioni modeste possono causare un gran numero di eventi”, scrivono gli autori dello studio.

I risultati sono di particolare preoccupazione per il nostro Paese. L’Italia vanta – si fa per dire – tra le peggiori qualità dell’aria d’Europa. Secondo l’Agenzia ambientale europea, 9 delle 15 città europee con l’aria più inquinata sono italiane: Cremona, Vicenza, Padova, Venezia e Piacenza occupano i posti dal terzo al settimo. La Pianura Padana in particolare è cronicamente una delle aree più inquinate d’Europa, ma anche città come Prato, Trento o Napoli sono in fondo alla classifica europea. Solo Sassari e Livorno sono invece tra le prime 100 città europee con l’aria migliore, al 21esimo e 65esimo posto rispettivamente. I dati della stessa agenzia stimano che l’Italia sia il primo Paese europeo per numero assoluto di decessi annui – oltre 50.000 – causati dall’inquinamento atmosferico, e undicesimo per tasso di decessi sulla popolazione, con 88 decessi su 100.000 abitanti (ma è il primo di tutta l’Europa occidentale).

L’Unione Europea il 10 dicembre ha approvato i nuovi regolamenti sulla qualità dell’aria, dimezzando i limiti consentiti per i PM2,5 , riducendo i limiti di altri dodici inquinanti, tra cui NO2 e NOx e introducendo finalmente il diritto al risarcimento in caso di danni per la salute dovuti alla violazione dei limiti sulla qualità dell’aria.